Miniere da visitare in Sardegna

Miniera di Argentiera – Argentiera

Nato come borgo di minatori a fine ‘800, l’argentiera (nel bellissimo territorio della Nurra) prende il nome da uno dei più antichi giacimenti di piombo e zinco argentifero della Sardegna. La miniera dell’Argentiera era conosciuta già in epoca preistorica e venne sfruttata da romani, pisani, genovesi e spagnoli. Fu abbandonata per molto tempo e persino Honorè de Balzac durante un suo viaggio in Sardegna capendo le potenzialità commerciali del luogo se ne interessò, ma arrivò tardi.

La miniera venne riaperta nel 1867, grazie al decreto regio che diede la concessione estrattiva alla marchesa di Tola di San Saturnino, che possedeva già i terreni. Subito dopo però, a causa dei costi di gestione venne ceduta alla Compagnia Generale delle Miniere. Fu in questo periodo che si iniziò la costruzione dei vari edifici. Le case per i lavoratori, gli uffici, la laveria vicino al mare. A fine 800 la miniera passa alla società di Correboi, oltre l’infermeria e nuovi uffici, venne scavato un pozzo di estrazione, composto da magazzini, segherie e pozzo, chiamato Podestà dal nome del barone Podestà che aveva in concessione questa e altre miniere dell’isola.

Nei primi del 900 si inizia a costruire la borgata e dopo la prima guerra mondiale, sulla piana di San Nicolò venne costruito un pontile per agevolare i trasporti. A metà anni degli anni 20, la società Correboi venne inglobata dalla Pertusola e venne costruita una laveria in legno. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l’esaurimento dei giacimenti, la miniera viene definitivamente chiusa nel 1963. L’argentiera si sviluppa in due vallate: in una abbiamo l’acquedotto, le case degli operai, quelle degli scapoli e il pozzo Plata. Nell’altra abbiamo gli impianti industriali: il pozzo Podestà e le laverie. Nel borgo vi erano anche il dopo lavoro, il cinema, l’asilo e sulla vallata si trovano la chiesetta e la casa del direttore. Curiosità: qui sono state girate le scene iniziali di La scogliera dei desideri, con Elizabeth Taylor e Richard Burton e le scene finali di Chiedo asilo di Marco Ferreri con Roberto Benigni.

Miniera Ingurtosu – Arbus

L’origine del nome Ingurtosu, si racconta, sia legato a “su curtugiu”, un avvoltoio che sovrastava i cieli di questa zona. Ingurtosu, oggi un villaggio abitato da poche famiglie, fu uno dei più importanti siti minerari della Sardegna.

Quando a metà ottocento, una legge sabauda decretò che il sottosuolo era di proprietà dello stato, fu dato in concessione ai privati per sfruttarne le miniere. I primi a sfruttare le risorse di questa zona, ricca di blenda argentifera e galena, furono Luigi e Marco Calvo che nel 1855, cedettero le concessioni alla Société Civile des Mines d’Ingurtosu et Gennamari. Nel 1859 la società cominciò i lavori nella vallata di Is Animas, dove via via nacquero le case, lo spaccio, l’ospedale, il tabaccaio e le poste. Presidente divenne il tedesco Jorg Bornemann, che con una squadra di tecnici tedeschi, avviò i lavori con metodo scientifico.

Nel 1870 fece costruire il Palazzo della Direzione, chiamato il “Castello”, perchè Bornemann, lo volle simile alla sua abitazione (un castello) in Sassonia. In stile neogotico, fu costruito in cima a un’ altura e sovrasta la strada con un arco, era rivestito in granito e aveva bifore e monofore in legno viola. Nei quattro piani che lo compongono, oltre la sua residenza, si trovavano anche gli uffici tecnici e amministrativi. Quando Quintino Sella arrivò qui per una visita, la miniera occupava già 600 lavoratori. Ma la società francese, per attuare nuove migliorie, aveva bisogno di ingenti fondi economici, cercarono nuovi soci, che arrivarono con 3 milioni di franchi di capitale. Nacque così nel 1870 a Parigi, La Societè Anonime de Mines de Plomb Argentifére de Gennamari e Ingurtosu. Con il nuovo capitale, si cercò di risolvere il problema dell’acqua, cercando di liberare le gallerie che si allagavano, perchè vicine al mare e ai ruscelli; al posto dei canali di scolo, fu creato un sistema di pompe meccaniche. Si costruirono diverse laverie e i carri a trazione animale, furono rimpiazzati da un binario a scartamento ridotto con cui si portava il materiale dalle laverie al pontile di Piscinas, dove vi erano anche i magazzini per la blenda e la galena; da qui era caricato a mano sulle bilancelle a vela e veniva spedito a Carloforte.

Ingurtosu, ebbe una nuova svolta alla fine dell’800 quando venne scoperto un filone ancora più ricco di quello fino ad allora sfruttato, ma le strutture della miniera si rivelarono inadeguate e erano necessari nuovi fondi.

Nel 1899 gran parte delle azioni, furono cedute alla più grande società mineraria inglese, Pertusola Mining Ltd. Company, di cui era presidente Thomas Alnutt Brassey. La prima cosa che la nuova società fece, fu la costruzione di una nuova laveria, chiamata laveria Brassey, inaugurata il 17 ottobre 1900. La laveria era uno splendido esempio di architettura e tecnologia, che costò 400 mila lire e grazie al lavoro dei 160 operai, era capace di trattare 500 tonnellate al giorno di minerali. La laveria, che si trova nella strada che da Ingurtosu porta a Piscinas, Naracauli, è ora uno scheletro che mantiene il suo fascino per l’ampiezza, per lo stile architettonico e tecnologico.

Nel 1906 vennero qui sperimentate le cernitrici magnetiche Primosig, che separavano il ferro dai minerali “ricchi”. Grazie alle innovazione si arrivò a una produzione di materiale pari a 20.000 tonnellate di blenda e galena e a un impiego di 2.500 operai. Dopo la morte di Lord Brassey, gli inglesi continuarono lo sfruttamento, che durante il primo conflitto mondiale ebbe un rallentamento.

Nel 1924 fu costruito il pozzo Gal (dal nome di Paul Gal, dirigente del gruppo francese che succedette a quello inglese), che scendeva per 290 m. Il pozzo, costruito nel cantiere Harold, rimase in funzione fino al 1975 e fu protagonista di molte proteste degli operai. Le proteste, iniziarono negli anni 30 quando, per avere una produzione maggiore, venne introdotto il sistema Badeaux, che consisteva nel decidere i tempi per ogni mansione e pagare di più chi riusciva a superarlo e gli altri dovevano adeguarsi a questo ritmo. Questo metodo portò a un’efficienza incredibile, ma allo stesso tempo portava a un deleterio esaurimento della forza dei lavoratori. Con la seconda guerra mondiale, le miniere iniziarono il declino, che si concluse nel 1991. 80 operai si rinchiusero nel Pozzo Amsicora, per evitare il licenziamento, ma fu inutile e l’8 maggio dello stesso anno l’avventura mineraria di Ingurtosu e Gennamari si concluse. Anche nel 1961 Ingurtosu fu protagonista di un indimenticabile sciopero contro il Patto aziendale, che prometteva il mantenimento del posto e l’aumento degli stipendi, in cambio di una moratoria su scioperi e proteste: 24 minatori si rinchiusero per 11 giorni nel Pozzo Gal e l’ebbero vinta. Ora questo territorio, così provato dalla mano dell’uomo è diventato parte del parco geominerario della Sardegna.

Un posto splendido grazie al quale si mantiene vivo il ricordo di molti operai, non solo sardi, che hanno lavorato, combattuto e sono morti lavorando. Qui i torrenti sono rossi per i depositi di piombo, le montagne squarciate e gli edifici quasi completamente abbandonati, ma il panorama è suggestivo e unico. Percorrendo la strada sterrata che da Ingurtosu porta verso il mare si rimane a bocca aperta per come la natura si stia riprendendo il proprio spazio. Curva dopo curva nella profumatissima vegetazione si arriva a Piscinas, dove le immense dune dorate (il deserto d’Europa), alte anche 40 m lasciano senza fiato. Con il suo mare cristallino e le dune, Piscinas si estende per tre km, per fortuna qui, con praticamente nessun segno dell’uomo.

La grande miniera di Serbariu – Carbonia

Serbariu: la Grande Miniera è figlia di quell’autarchia, voluta dopo le sanzioni date all’Italia a causa dell’invasione dell’Etiopia nel 1935. Per “emanciparsi dallo straniero e valorizzare ogni propria risorsa” si scelse il bacino carbonifero del Sulcis. Effettuati i sondaggi, si scopre il grande giacimento di Sirai-Serbariu.

I lavori sono rapidissimi, già nel 1937 si costruisce il primo pozzo che, tramite degli ascensori detti gabbie, faceva scendere gli operai sino a 103 metri sotto il livello del mare e nel 1938 fu costruito un’altro pozzo che arrivava fino a 179 m. Vennero reclutati lavoratori da tutta Italia, che risiedevano nella neonata città di Carbonia, edificata in stile razionalista, con case dotate di cucina (ovviamente a carbone), alberghi operai, un cinema, lo spaccio. Tutto era organizzato perché nel paese ci fossero tutte le cose necessarie. La miniera aveva anche una moneta con su scritto Sulcis, con cui venivano pagati i minatori, che poi spendevano nel paese. Tutto quindi ritornava alla miniera. Poco prima della seconda guerra mondiale a Serbariu, fu costruita una laveria (ora distrutta), una centrale elettrica autonoma e una centrale di raffreddamento, vari uffici e la lampisteria. Nella grande miniera, lavoravano 24 su 24, divisi in tre turni da 4000 persone, minatori che ogni momento erano sottoposti a rischi altissimi.

Le morti per esplosioni(causate anche dalle lampade) o allagamenti delle gallerie, ma anche per asfissia e per il caldo non erano purtroppo isolati, ma man mano questi problemi vennero risolti con l’introduzione di lampade a batteria e con pompe, condizionatori e respiratori di emergenza. Il problema però maggiore per i minatori, rimaneva il crollo dei soffitti, dovuto alla formazione stessa del minerale. Dopo un periodo di grande lavoro, durante il quale vi fu uno dei più lunghi scioperi della storia italiana, la miniera, negli anni 50, inizia un declino che la porterà alla definitiva chiusura nel 1971. I macchinari andarono velocemente in rovina, molte parti della miniera, furono portati via, i fabbricati, ormai abbandonati divennero una discarica. L’amministrazione comunale riuscì ad acquisire il patrimonio immobiliare e recuperò il sito e nel 2006 si è inaugurato il museo del carbone.

Il museo è un viaggio nella storia della miniera e nella vita dei minatori. Si ripercorrono le tappe principali, della vita quotidiana dei minatori. Il viaggio nella memoria, parte dalla lampisteria, dove, come facevano i minatori, si ritira il casco e lampada. Dal pozzo, per mezzo delle gabbie, si scende nella galleria dove si possono vedere le evoluzioni delle tecniche minerarie e dove ci si ritrova tra cunicoli bassissimi in un viaggio di circa 45 minuti, per conoscere le storie della miniera e di quei minatori, che spesso dovevano lavorare, sdraiati sulla schiena con il martello pneumatico o che dovevano trainare a mano carrelli di due tonnellate, perché qui gli animali non erano consentiti. Uomini che dovevano sopportare gradi di umidità e caldo elevatissimi. Nel viaggio attraverso le gallerie si possono vedere anche gli strumenti che utilizzavano, dai picconi al “minatore continuo”. Finita la visita alla galleria, si torna alla lampisteria, corpo centrale del museo dove un allestimento interattivo, illustra la storia dei minatori e della città grazie a cimeli e filmati d’epoca.

Da vedere la collezione delle lampade da miniera e il deposito delle biciclette. Nelle ex officine ora ha sede il museo Paleontologico e delle scienze naturali, nel grande magazzino dei minerali si trova il Centro per lo sviluppo delle tecnologie energetiche pulite. Nel grande cortile fanno bella mostra di se i grandi mezzi meccanici e i pozzi, il locale caldaie e la sala argano.

Come arrivare?

Da cagliari prendere la SS 130 direzione Carbonia -Iglesias. Arrivati a Iglesias proseguire per la SS 126 fino a Carbonia e qui le indicazioni per la Grande Miniera di Serbariu. Da OR prendere la SS 126 e proseguire per Carbonia.

 

Miniera di Montevecchio – Guspini

Montevecchio, è tra i siti minerari più vecchi della Sardegna. L’epopea di questa minierà iniziò nel 1844 quando Don Giovanni Antonio Pischedda, appassionato di minerali e Giovanni Antonio Sanna, si incontrarono a Marsiglia, dove il prete si recò per cercare i capitali necessari per sfruttare il grande filone, lungo 12Km, di blenda e galena che si trovava a Montevecchio-Guspini. I problemi furono tali che il prete abbandonò l’impresa, ma il giovane Sanna, riuscì a fare firmare a Carlo Alberto la concessione perpetua per lo sfruttamento. Nacque così, con capitali franco-italiani la società mineraria di Montevecchio-Pertusola. Gli anni che seguirono, furono così intensi che Montevecchio divenne una delle maggiori zone minerarie d’Europa. Gli impianti si dividono in due settori, quello di Levante e quello di Ponente, divisi dal passo di Genna Serapis (la porta del Dio Serapide, protettore del sottosuolo, una valle dove furono costruiti gli edifici “civili” connessi alla miniera).

Nel 1849, a un anno di distanza dall’apertura la produzione di galena era elevatissima e Sanna chiamò a dirigere la miniera un ungherese: Giulio Keller. Nei tre anni che rimase alla direzione di Montevecchio, fece costruire gallerie, sentieri, organizzò il trasporto dei materiali, fece arrivare macchinari e vennero creati gli alloggi sia per i dirigenti che per il personale, i pozzi, le laverie e le strade. In seguito furono costruite le poste, l’infermeria e lo spaccio. Nel 1865 nella miniera vi erano impiegate 1100 persone, comprese le donne che non potendo entrare in miniera perché “portavano sfortuna”, venivano impiegate nella separazione del materiale ricco da quello sterile, con turni di lavoro massacranti: 8 ore al giorno scalze in mezzo al fango.

Nel 1872 fu costruito il Pozzo S. Antonio, costruito con sembianze di un castello medioevale che scende a 410m di profondità e i minatori venivano portati giù con una gabbia a gruppi di sei. Venne costruita anche la Galleria Anglosarda, dove entrarono in funzione i primi carrelli in ferro basculanti per agevolarne lo svuotamento del minerale. Un anno dopo la morte del Sanna, avvenuta nel 1875, nel cantiere di Piccalina (ceduta effettivamente alla Montevecchio nel 1897, quando si pensava erroneamente che il filone fosse esaurito) venne inaugurato il Pozzo S. Giovanni, una costruzione splendida i stile liberty che ha utilizzato gli stessi macchinari per circa un secolo e che si possono ancora vedere. Utilizzati fino al 1982, si possono ammirare, i silos, i vagoni, la macchina a vapore, la dinamo per alimentare l’argano e il compressore per il martello pneumatico.

Nel 1877 fu completato il palazzo della direzione,oggi restaurato, un edificio di 22 stanze affrescati con trompe l’oeil, dove imperano lampadari in vetro di murano e oro. Nel periodo più florido della miniera, qui si trovavano le tele del Tiziano, di Raffaello e opere del Canova. Nello stesso periodo, venne costruito l’ospedale, la scuola, l’albergo “ Al Cinghiale”, l’emporio e la bettola, dove praticamente finiva tutto lo stipendio degli operai che venivano pagati con un denaro fittizio, coniato dalla società e quindi poteva essere utilizzato solo a Montevecchio. Per un trentennio, dal 1934 la miniera divenne la più grande produttrice italiana di piombo e zinco, ma l’esaurimento dei filoni da una parte, le gestioni statali, susseguitesi, non ottimali dall’altra, portarono nel 1991 alla chiusura di Montevecchio.

La storia di questa miniera è anche e forse sopratutto la storia dei minatori che qui lavorarono e persero la vita a causa della silicosi e la tubercolosi, di quelli che scioperarono per i loro diritti sindacali contro il patto aziendale a cui posero fine nel ’60 con uno straordinario sciopero di 11 giorni nelle viscere della terra. Montevecchio oggi fa parte del Parco Geominerario della Sardegna, patrimonio UNESCO e sono numerose le iniziative culturali che vi si svolgono.

 

Miniere di Nebida – Nebida

Nebida, appare agli occhi del visitatore, in uno spettacolare panorama che si staglia sul mare, percorrendo la S.P.83 da Fontanamare. Curva dopo curva, il paesaggio diventa sempre più opera d’arte e dalla tanta bellezza della natura, sembra essere colpiti dalla sindrome di Stendhal. Le bianche falesie ricoperte dalla macchia mediterranea, il blu cobalto del mare da cui svettano 5 faraglioni, sono l’anticamera di questo piccolo villagio minerario. Nonostante la zona fosse già conosciuta in tempi antichissimi per i suoi bacini argentiferi, la ricerca dei minerali a Nebida inizia nel 1614.

E’ nel 1865 che, però, si cominciano i primi grandi lavori, quando Prospero Christin ottenne il controllo della miniera del piombo,facendo costruire nella vicina spiaggia di Fontanamare una fonderia. Un decennio dopo, il bacino divenne più produttivo con l’estrazione di diversi materiali. Un altro decennio dopo la miniera passa sotto il controllo della Società anonima di Nebida, nel frattempo inizia a sorgere il villaggio, provvisto dei servizi essenziali. La miniera produceva e gli operai aumentavano, venne costruita la Laveria La Marmora, inaugurata nel 1897.

Durante il primo conflitto mondiale si ebbe la prima crisi, ma negli anni ’20 si riprese. Passò in seguito all’AMMI che creò degli ammodernamenti e nel 1947 la miniera produceva a pieno regime piombo. Poco dopo il sito fu ceduto alla società anonima piombo e zinco e nel 1968 la miniera raggiunse un alto livello produttivo. La crisi comunque arrivò inevitabile, fino alla conclusione di questa avventura mineraria negli anni 80. Ora Nebida fa parte del Parco geominerario Storico e ambientale della Sardegna. La laveria che quando fu costruita era un impianto modernissimo e tecnologico (a tre piani, provvisto di un generatore a vapore e diverse sezioni), ora è un monumento spettacolare, a cui si può accedere tramite un sentiero, percorrendo la vecchia strada ferrata per il trasporto dei minerali. La laveria è stata restaurata dalla Soprintendenza di Cagliari e Oristano nel 1995. L’Unesco l’ha definita “un perfetto luogo di contemplazione estetico”. Nebida, gioiello dell’archeologia industriale, ci offre uno spettacolo unico, dopo avere ammirato tanta bellezza, siamo pronti per continuare il viaggio lungo la S.P 83 per ammirare una altro angolo di paradiso, che la Sardegna ci regala.

 

Porto Flavia – Masua

Porto Flavia è, come dice il nome, un porto di imbarco a Masua, nei pressi di Iglesias. Masua è una miniera con un villaggio, praticamente abbandonato da quando, nel 1991 le miniere hanno chiuso.

Nel 1922 la società belga Vieille Montaigne, inglobò la miniera di Masua alle altre due che avevano nella zona. Inaugurata nel 1924, Porto Flavia è una grande opera creata dall’ingegnere veneziano Cesare Vecelli per abbattere i costi di trasporto del materiale. Fino a quel momento, i minerali venivano caricati a spalla sulle bilancelle (le barche) con ceste di 70 Kg e poi portati fino a Carloforte.

Il viaggio era lungo, il lavoro pesantissimo e la paga scarsa. Vecelli invento un’opera ingegneristica unica: due gallerie, una sull’altra nel ventre della montagna. Nella galleria superiore arrivavano i vagoni con il materiale e qui, tramite nuovi silos, il minerale passava nella galleria inferiore. A questo punto, un nastro trasportatore e un braccio mobile caricavano tutto il materiale sulle bilancelle(in seguito con le navi), che ripartivano subito dopo. Grazie a questa monumentale opera di ingegneria, il tempo di trasporto venne ridotto da quattro giorni a quattro ore. L’imbocco di Porto Flavia, chiamata come la figlia dell’ingegnere Vecelli, è un’apertura nella roccia a venti metri sul mare.

Uno spettacolo di rara bellezza, non solo per l’opera in se, ma per l’incantevole panorama, Porto Flavia infatti, si trova proprio davanti all’isolotto calcareo detto “Pan di Zucchero”. Sono due i modi di godere di questo panorama unico creato unendo ingegneria e natura: il primo modo è percorrere l’interno della galleria buia che si conclude a picco sul mare cristallino reso ancora più bello dalla luce del sole che ci troviamo davanti quando usciamo dal cunicolo; l’altro modo è via mare, in barca, per godere del fascino della costruzione e della sua uscita. Sono ancora ben visibili il nome e la data di costruzione incisi nella torretta sul mare.

 

Sos Enattos – Lula

La miniera di Sos Enattos, si trova nel territorio di Lula, in uno dei territori più interessanti della Sardegna: il monte Albo, dichiarato dalla UE sito di interesse comunitario. La miniera era già sfruttata in epoca romana, ma fu nel 1868, che la società Paganelli ebbe la concessione per lo sfruttamento di argento e galena. Dopo i primi lavori necessari per l’estrazione si scoprì che la miniera non era ricca di minerale argentifero, ma lo era molto di blenda (da cui si estrae lo zinco).

Nel 1905 Sos Enattos passò alla società franco-belga Anonimes des Mines de Malfidano. Dopo la cessione a varie compagnie private nel 1951 la miniera passò alla Rimisa che diede un nuovo slancio all’estrazione mineraria costruendo un laboratorio chimico, l’ufficio topografico, la diga Minghetti, la laveria Fioretti, l’officina meccanica, il magazzino ricambi e scorte, l’infermeria, o spogliatoio per gli operai e la cabina elettrica. Dopo un successivo passaggio alla EMSA, furono conclusi altri interventi, ma purtroppo le varie crisi portarono alla definitiva chiusura, anticipata dallo sciopero degli operai, nel 1996.

Sos Enattos, comunque è stata recuperata ed oggi fa parte del Parco Geominerario, Storico e Ambientale della Sardegna. Seguendo dei sentieri, circondati da panorami mozzafiato, si trovano i villaggi minerari abbandonati di Su Ergiolu, di Argentaria e Guzzurra, di quest’ultimo su una collina si possono ammirare gli alloggi degli operai, l’ufficio del direttore e una cisterna.