Arbus
Arbus, comune della costa sud occidentale è uno dei più estesi della Sardegna. Il significato del nome è incerto. Secondo alcuni, il toponimo Arbus, significherebbe alberato (Arburis) ,vista la presenza in passato di numerosi boschi. Altri, legano il nome ad Albus, cioè bianco, dalla presenza dei massicci granitici chiari.
Nel territorio Arburese sono presenti massicci montuosi (Monte Arcuentu), zone collinari (le zone minerarie) e zone costiere(da Capo Frasca a Capo Pecora). La data di fondazione del paese non è conosciuta, ma nel 1320 è menzionato come facente parte del marchesato di Quirra e nel 1504 è documentato su un atto di allodiazione (cioè di cessione), della famiglia Carroz. Con il riscatto dei feudi, nell’800, e la divisione della Sardegna in 10 provincie, Arbus fu assegnata a quella di Iglesias. La popolazione Arburese è sempre stata dedita all’agricoltura e alla pastorizia, con l’allevamento di pecore, capre, maiali e cavalli che venivano venduti nelle zone circostanti.
Gli Arburesi erano anche ottimi tessitori, l’orbace veniva venduto soprattutto nel campidano, ma si tessevano anche lino e cotone; secondo un censimento dell’epoca, praticamente ogni casa era fornita di telaio. Quando la società era di tipo agro-pastorale, la crescita della popolazione era molto lenta e nel 1821 era di circa 3000 persone. Con l’arrivo delle società minerarie nelle zone limitrofe di Montevecchio e Ingurtosu e l’arrivo di manodopera da diverse zone, il paese nel 1901 contava 6450 abitanti. La popolazione, con lo sviluppo sempre maggiore delle attività estrattive, continuò a crescere e dopo la seconda guerra mondiale superò i 10.000 abitanti; come sappiamo il comparto minerario in Sardegna a fine ‘ 900 ha subito una drastica crisi fino alla chiusura degli impianti che ha causato un forte spopolamento di Arbus. Ora il paese, grazie al suo magnifico ambiente, per risollevare l’economia, punta sul turismo.
Il territorio Arburese ha infatti ricevuto vari riconoscimenti sia per le bellezze paesaggistiche dell’entroterra, sia per il vastissimo patrimonio storico e culturale legato alle tradizioni agro-pastorali e al passato minerario.
La sua costa, la Costa Verde è stata sottoposta a tutela paesaggistica per l’eccezionale patrimonio naturale, formato dalle bianche dune e dal mare azzurro, senza tralasciare la macchia mediterranea, habitat di numerose specie animali.
Cosa vedere
Nel centro abitato è quasi una regola visitare il Museo del Coltello, dove si trova il coltello (a serramanico) di tipo arburesa, più grande del mondo con i suoi 4,85 metri per un peso di 295 Kg.
Tante le chiese tra cui S.Sebastiano nel centro del paese e Santa Barbara nel villaggio minerario di Ingurtosu. Gli amanti della natura, non rimarranno di certo delusi dal territorio arburense.
Tanta è la bellezza di questa zona, che sono sette i siti di interesse comunitario: Monte Arcuentu (dove si trovano i resti del castello omonimo), Capo Pecora, le pendici del Monte Linas, Rio Piscinas, lo stagno di Corru s’Ittiri con S’ingroni de S.Antonio, S’acqua e S’Ollastu nel golfo di Pistis e la fascia costiera che parte da Piscinas con le sue dune, continua per Is Arenas e si conclude a Scivu. Il territorio è ricco di tombe dei giganti e nuraghi, il più grande dei quali è il Narocci(a qualche Km da Scivu). Gli appassionati di archeologia mineraria potranno visitare Ingurtosu, Montevecchio e Gennammari: siti di un fascino unico.
Nel territorio di Arbus vi sono vari sentieri di trekking, tra questi 3 segnalati con la tecnica del CAI (Club AlpinoItaliano). Le spiagge sono tra le più belle della Sardegna: le acque sono cristalline e la costa, chiamata Costa Verde, è varia, potrete scegliere tra le dune di Piscinas , le spiagge sabbiose di Scivu, le coste granitiche di Capo Pecora e di Babari.
Gonnosfanadiga
Le origini di Gonnosfanadiga sono incerte, secondo alcuni studiosi, il paese sorse, nel 1610 circa, dopo la distruzione del villaggio di Serru per opera dei barbareschi; i sopravvissuti si rifugiarono a Gonnos che al tempo era un centro efficiente e organizzato.
Il toponimo Gonnosfanadiga è stato oggetto di studi da personaggi come il Wagner, il Bertoldi, il Terracini e il Carta. Per alcuni di loro il termine Gonnos, visti i molti paesi sardi che contengono questo termine o la radice, sarebbe di origine nuragica. Secondo il Wagner, la radice Gon, significherebbe collina. La seconda parte del nome Fanadiga, esisteva già e significava per i romani campagna, terra fanatica, cioè terra vicino al “Fanum” ossia il tempio. Il territorio però, reca tracce del periodo neolitico, sono stati rinvenuti cocci, utensili in pietra e osso. Sono stati rinvenuti anche reperti nuragici e alcune tombe dei giganti, come quella di San Giovanni e quella di Sant’Anastasia. Se poco si sa degli insediamenti fenici, che comunque non sono da escludere, sono numerosi i resti del periodo romano con la scoperta di ciò che resta di quattro necropoli, fortificazioni e anche suppellettili e armi. Intorno al VI sec, con l’arrivo dei bizantini, comincia l’opera di evangelizzazione e la costruzione di vari luoghi di culto, ormai scomparsi; ne resta però uno splendido esempio: la chiesa campestre di Santa Severa.
Durante il medioevo il territorio di Gonnosfanadiga appartiene al giudicato di Arborea, ma è con la dominazione spagnola, periodo in cui il territorio appartiene al marchesato di Quirra, il più grande della Sardegna, che sui documenti inizia ad apparire il toponimo attuale e viene descritta l’attività del paese. La popolazione era dedita all’allevamento non solo di maiali, capre, pecore, ma anche di asini e api.
Se durante la dominazione spagnola, il centro subì una grave crisi, con l’avvento dei Savoia, la condizione economica degli abitanti migliorò talmente, che la popolazione aumentò di un terzo.
Secondo alcuni scritti dell’800, il paese era diviso dal rio Piras in 2 centri, Gonnos dalla parte destra e Fanadiga da quella sinistra.
Con la scoperta di vari filoni di minerali nelle zone circostanti, anche il territorio di Gonnosfanadica, fu oggetto di interesse delle società minerarie. Benchè le quantità di blenda e galena, non fossero soddisfacenti, fu trovato un minerale, in quel periodo rarissimo da trovare in italia: la milibdenite.
Fu creata così la miniera di Perd’ e Pibara, che come tutte le miniere nel ‘900 ebbe una crisi così profonda da essere chiusa. Ora è un parco che si può visitare. Durante la seconda guerra mondiale, il paese fu bombardato dagli alleati, senza una giustificazione, causando tra i civili, un centinaio di morti feriti e mutilati. Gonnosfanadiga è famosa per il suo ottimo pane e il suo olio eccellente, prodotti tradizionali protagonisti della sagra del pane e di quella delle olive, che vengono svolte ogni anno.
Questo paese sul monte Linas è circondato da una vegetazione rigogliosissima, ulivi, lecci, rovi, fiori profumatissimi e tantissime fonti di acqua sorgiva e piccoli fiumi che aiutano il terreno, assieme all’esperienza dei numerosi agricoltori, a dare prodotti di alta qualità.
Villanovaforru
Villanovaforru è un piccolo paese della Marmilla a 50 km da Cagliari. Situato in una posizione favorevole (da qui si domina buona parte della piana campidanese, dal golfo di Cagliari a quello di Oristano), il territorio fu abitato continuativamente dal periodo nuragico, all’VIII sec d:C quando l’insediamento, forse a causa di un incendio, fu distrutto e abbandonato. Resta testimonianza di questo periodo il complesso nuragico di Genna Maria. Il territorio fu poi alternativamente abitato da punici, greci e romani fino ad arrivare al medioevo quando nacque il nucleo del paese odierno.
Il villaggio fu prima possedimento degli Arborea, per poi divenire, alcuni anni dopo la Battaglia di Sanluri, feudo dei Moncada; durante i secoli è passato ai Carroz, ai Borgia, ai Català.
L’ultima famiglia di cui fu possedimento furono gli Osorio, il feudo fu infatti riscattato nel 1838 e dieci anni dopo entrò nella divisione amministrativa di Cagliari.
Cosa vedere
Nonostante sia un piccolo paese, Villanovaforru è ricchissimo di bellezze: innanzitutto le dolci colline della Marmilla, che lo circondano. Il patrimonio archeologico consta di numerosi nuraghi: Mori Siliqua, Sa Lopera, Marramutta, e il complesso nuragico di Genna Maria.
Il centro storico del paese conserva l’impianto topografico del ‘600 con bei palazzetti e tipiche case campidanesi con la lolla (cioè il giardino interno), a cui si accede da grandi portoni. Di grande interesse anche il Museo Archeologico, ospitato nell’ex Monte di Soccorso (o Monte Granatico), la chiesa di San Francesco di Assisi (XVII sec.) e quella di Santa Marina: una chiesetta campestre a pochi Km dal paese.