Cosa vedere vicino a Carbonia Iglesias

Carbonia

Situata a sud ovest della Sardegna, nel Sulcis, la città del carbone, una tra le più giovani d’Italia, ha un territorio ricco di testimonianze preistoriche. Del neolitico antico è la civiltà detta “Su Carropu” le cui tracce sono state trovate in un riparo sottoroccia, nella borgata di Sirri, vicino Carbonia. Dopo quella di “Su Carropu”, una delle più antiche, altre società preistoriche si sono stabilite in questa zona, prova ne sono le domus de janas e le numerosissime testimonianze rinvenute in varie grotte: la grotta di Barbusi, dell’Ospedale, di Polifemo, di Serbariu. Nel periodo nuragico il territorio era abitato da una società che ci ha lasciato uno dei più importanti complessi nuragici, quello di Sirai. Sullo stesso monte si trovano reperti sia fenici che punici. Testimonianze di Roma sono state trovate nell’antica strada Caralis-Sulci che passa nel territorio di Carbonia.

Le chiese ci testimoniano che queste zone erano abitate anche nel periodo giudicale, ma a causa delle numerose invasioni barbariche e nel successivo periodo spagnolo, il territorio di quella che oggi è Carbonia, fu abbandonato. Ripopolato in seguito grazie alla trasumanza dei pastori del centro dell’isola,nel periodo sabaudo, Alberto Lamarmora, rinvenne la presenza del carbone. Ma fu nel 1851, quando Ubaldo Millo, scoprì il bacino di Bacu Abis, che vi fù un vero impulso per lo sfruttamento. Nacquero di seguito la miniera di Bacu Abis, Funtanamare, Terra ‘e colu, ma è con la miniera di Serbariu, negli anni del fascismo, che la produzione di carbone ha un aumento così notevole da decidere la costruzione, oltre che di nuove strutture estrattive, di una città mineraria: Carbonia.

La nascita e lo sviluppo della città di Carbonia è inscindibile da quella della “Grande Miniera“ di Serbariu. Con la politica autarchica di Mussolini, il carbone e i minerali della Sardegna sarebbero dovuti diventare indispensabili per l’autosufficienza della nazione. Ed è in questo periodo che il bacino carbonifero del Sulcis e in particolare quello di Carbonia diventa oggetto di rilevamenti fino a scoprire il ricco bacino di Serbariu. Ma se si doveva sfruttare in modo costante e consistente quel bacino, si sarebbe dovuto avere manodopera e quindi alloggi. Poiché le zone circostanti erano prive di case operaie e di alloggi, si pensò di costruire una nuova città, vicina sia alle miniere, che al porto di S.Antioco dove il carbone veniva imbarcato. Con un decreto il 5 novembre 1937 si da il via alla costruzione di Carbonia. Disegnata dall’architetto Guidi e dall’ingegner Valli, fu inaugurata ufficialmente il 18 Dicembre 1938, dopo un anno esatto dall’inizio della costruzione e costò 325 milioni delle vecchie lire di allora. Mussolini per l’inaugurazione tenne un discorso dalla torre littoria, in piazza Roma, a cui assistettero 50.000 persone. Nel ’38, Carbonia, con un territorio di 14.600 ettari, sottratti a vari comuni, è un centro urbano modernissimo, di stile razionalista, un orto per ciascuna famiglia, acqua calda e cucina, ovviamente a carbone. Furono costruiti impianti sportivi, cinema e spacci. Di proprietà dell’A.Ca.I, che lo era anche della miniera, fu costruita per circa 12.000 persone, quasi tutte sarde, ma ben presto ci si rese conto che la manodopera non bastava, visto il grosso lavoro estrattivo e visto le prospettive di un lavoro sicuro che attirò gente di ogni genere e regione. Poco prima della seconda guerra mondiale la popolazione raggiunse i 30.000 abitanti, si costruirono per questo motivo due nuovi agglomerati, Bacu Abis e Cortoghiana.

L’architettura di Carbonia doveva rispecchiare le altre città costruite dal regime, vi era quindi una piazza centrale con la torre littori, il municipio, la casa del fascio e il dopolavoro. Le case erano assegnate in base al ruolo che si aveva in miniera e se si aveva famiglia. Si partiva così al centro dalla villa del direttore, Villa Sulcis(oggi museo), poi le case degli alti dirigenti, poi impiegati e minatori(capi) per finire con casermoni squallidi nella periferia dove vi erano gli alberghi operai, dove viveva chi non era stabilito a Carbonia. Come già detto l’A.Ca.I era padrona del territorio sia sopra che sotto, ciò significa che tutto ciò che i minatori guadagnavano, lo restituivano. Nella città vi era lo spaccio e si era praticamente obbligati a comprare li le cose che gli occorrevano, l’affitto lo pagavano all’azienda, il cinema era dell’azienda, la quale coniava anche moneta che veniva utilizzata quotidianamente a Carbonia. Proprio a causa dell’aumento degli affitti e del carovita nel Maggio ’42 vi fu il primo sciopero dell’Italia fascista, organizzato da cellule clandestine comuniste, capeggiate da Tito Morosini. Durante la seconda guerra mondiale fu bombardata varie volte. Nel 1949 si ha l’apice del numero di abitanti: 60.000, di cui 48.000 residenti, ma con la crisi carbonifera e la chiusura della miniera nel 1964, Carbonia ha vissuto un periodo di crisi economica e di spopolamento molto forte. Oggi ha una popolazione di circa 30.000 abitanti.

Cosa vedere

Oltre i tantissimi reperti archeologici nei dintorni, da vedere il centro cittadino di impianto razionalista, con la torre civica il teatro centrale e il dopolavoro centrale, in P.zza Roma. Il museo di Villa Sulcis e ovviamente la Grande Miniera di Serbariu, oggi divenuto Museo del Carbone.

Domusnovas

Il territorio di Domusnovas è abitato da tempi remotissimi e infatti sono numerose le tracce degli insediamenti umani risalenti al neolitico, nelle numerose grotte della zona; nell’ entrata della grotta di san Giovanni, vi erano due muri ciclopici (dei quali rimane qualche resto), distrutti nel XIX sec. per costruire la strada che l’attraversa.

Del periodo nuragico resta uno dei nuraghi più imponenti della Sardegna: S’omu e S’orcu, altri più piccoli e due tombe dei giganti, una ai piedi del monte Perrdi e cerbu, l’altra in località Su Corovau (Tomba dei giganti “Perdu Cossu”). Visibili anche i resti della dominazione fenicio-punica: il sito di Matzanni, ne conserva un tempio. In periodo romano era sicuramente un grosso villaggio, che secondo le fonti era provvisto di 9 fonderie, lungo il rio San Giovanni, nelle quali arrivava il minerale proveniente da Metallia. Vi era anche un grande acquedotto che incanalata l’acqua del rio San Giovanni, la portava a Cagliari, percorrendo 47 Km. Nell’alto medioevo, i bizantini si stabilirono in questa zona: sono molte le chiese che ricordano santi molto venerati in oriente. Dopo che il giudicato di Cagliari, di cui faceva parte, venne ceduto ai pisani, Domusnovas, entrò a far parte dei territori della famiglia Della Gherardesca. Qui Ugolino si stabilì, prima della costruzione di Villa di Chiesa (Iglesias). Sotto il suo potere Domusnovas, venne fornita di mura e di un possente castello, diede inoltre impulso all’attività mineraria, che continuò a crescere, anche dopo la sua morte, quando Domusnovas, passò sotto il diretto controllo di Pisa.

Nel 1346 con la vittoria del re di Aragona contro i pisani, i territori sardi vennero infeudati, ma data la ricchezza e il potenziale economico, Domusnovas divenne, con villa di Chiesa e Villamassargia, puro possedimento del re. Durante il periodo aragonese, nonostante fosse sempre ricca, l’economia di Domusnovas cambiò, si diede più impulso all’agricoltura, rispetto alle attività minerarie e furono costruiti numerosi sistemi di irrigazione che davano acqua a tutta la zona rendendo gli orti molto produttivi.

Domusnovas fu in seguito donata al governatore della Sardegna, Louis D’Aragal. Estinta la sua famiglia, il feudo passò a varie famiglie, fino a quando, con l’abolizione dei feudi, fu riscattato per 998 lire sarde. Con i piemontesi, Domusnovas, subì un ulteriore cambiamento: l’attività mineraria si riprese, vennero avviate nuove industrie, come la cartiera e la fonderia; la popolazione cresceva e quindi il paese aveva bisogno di accorgimenti, fu costruito un acquedotto d’acqua potabile, allargate le vie, ingrandita la chiesa dell’Assunta e costruita una nuova Casa Comunale.

Il ‘900 portò un’altra svolta all’economia che si staccava sempre più, praticamente abbandonandole, dalle attività agropastorali per darsi esclusivamente all’attività mineraria, furono chiusi molti mulini, abbandonati orti e vigne per cercare un posto nel settore industriale.

Il territorio che circonda il paese è, per fortuna ancora pieno di piccoli orti domestici che ne colorano le campagne. Situata nel Sulcis-Inglesiente, Domusnovas ha un territorio montuoso, ricco di grotte naturali, come la spettacolare grotta carsica di San Giovanni, che con i suoi 850 m di lunghezza, è l’unico caso in Italia di cavità naturale, interamente percorsa da una strada(al mondo sono solo tre, compresa questa). Con le numerose gallerie laterali, che partono da quella centrale, la superficie totale visitabile è circa 2000 m. Nella valle Oridda, ricca di vegetazione, scorre l’omonimo rio e numerosi laghetti, in primavera e autunno si può anche ammirare la cascata di “Piscin’ e Irgas”.

Iglesias

Situato nella Sardegna sud occidentale, il territorio di Iglesias è sempre stato legato all’attività mineraria. La zona ricca di minerali e sopratutto piombo argentifero e zinco, ha fatto sì che fosse abitata e sfruttata in maniera continuativa da periodi antichissimi.

Le domus de Janas, situate nel territorio di San Benedetto, fanno risalire le tracce più antiche di insediamenti, al periodo neolitico; sono presenti anche i resti di alcuni nuraghi. Il territorio fu poi abitato dai cartaginesi e dai romani, che sfruttarono questo territorio per la grossa quantità di argento presente. Le fonti raccontano che al confine tra Iglesias e Fluminimaggiore, costruirono la città perduta di Metallia, un centro minerario dove venivano inviati ai lavori forzati, schiavi, delinquenti e minoranze etniche che in questo modo approvvigionavano sempre Roma del minerale occorrente. Durante l’alto medioevo, si perdono le tracce degli insediamenti, ma riappaiono durante il VII sec, gli esreciti di Bisanzio, hanno lasciato la loro presenza nella chiesa tardo-bizantina di San Salvatore. Il territorio passò poi al giudicato di Cagliari, che in seguito fu diviso in varie parti, quella dove sorgeva la chiesa, venne ceduta alla famiglia pisana dei Della Gherardesca, che vi  costruì Villa della Chiesa, la nuova città era comandata da Ugolino.

A partire dal 1272 il nobile ordinò nuove ricerche di argento nella zona, costruì possenti mura, un castello, detto di Salvaterra o San Guantino, numerose chiese, tra cui Nostra Signora di Valverde e Santa Chiara e una zecca per coniare monete, dotò anche la comunità di uno statuto simile a quelli delle alle città toscane. Morto Ugolino, Villa della chiesa passò ai figli, dove qui vennero a rifugiarsi, ma poco tempo dopo, ne divenne il signore Alfonso d’Aragona. L’attuale toponimo è una derivazione spagnola del nome Villa della chiesa; la rinominata Iglesias, fu la prima tra le città regie della Sardegna. Il dominio Spagnolo e le pestilenze causarono un inevitabile declino della zona, diventata cosi’ fiorente sotto i pisani. Passata in seguito ai piemontesi, la città ebbe un rifiorire economico, ma anche culturale. Divenne luogo di emigrazione non solo per gli altri sardi dell’isola, ma anche da altre zone d’Italia come Piemonte e Veneto. La popolazione quadruplicò nel giro di mezzo secolo, arrivando a 20.000 abitanti. Questo incremento demografico era dovuto ovviamente, allo sfruttamento minerario delle varie società, a cui veniva concesso l’utilizzo del sottosuolo. Quintino Sella, ingegnere, economista e politico, pensò fosse necessaria quindi una scuola, dove per gli addetti ai lavori in miniera. La scuola mineraria di Iglesias divenne poi un esempio in Europa per tutte le scuole di questo genere. Lo sfruttamento sfrenato, causato dalla legge che dichiarava res nullius le risorse del sottosuolo, fece si che nel territorio di Iglesias, vennero costruite varie miniere, che dal dopoguerra entrarono sempre più in crisi, fino alla chiusura di tutte alla fine degli anni 90: Iglesias ha conosciuto così una profonda crisi economica. Iglesias è una città da visitare, proprio per conoscere una parte della storia della Sardegna, che qui la mano dell’uomo ha mutato fortemente.

La miniera di Monteponi con i suoi tanti pozzi è un capolavoro dell’archeologia industriale. I cosiddetti “Fanghi rossi”, che formano una collina sulla strada per Portovesme sono scarti dell’acido solforico e sono ora vincolati dalla Soprintendenza all’ambiente di Cagliari e Oristano. Il Museo dell’arte mineraria è ricco di plastici che rappresentano gli impianti di trattamento: ci offre uno scorcio della vita sotterranea, ricostruzioni delle miniere, le macchine perforatrici, l’autopala Monteponi e numerosissimi minerali provenienti da tutto il mondo. Il museo mineralogico è ubicato nell’istituto minerario Giorgio Asproni, cioè la scuola dove si sono formati i tecnici minerari.

Il centro storico cittadino, diviso nei 4 rioni medioevali: Fontana, Castello, Mezo e Santa Chiara, è ricco di testimonianze storiche: chiese, mura medioevali, il Castello di Salvaterra anche molti palazzetti in stile liberty. Nella cittadina si trova anche il monumento a Quintino Sella, che tanto ha fatto, per lo sviluppo della zona.

Masua

Le curve sul mare, che portano a Masua, in provincia di Iglesias, ci regalano un panorama unico e il piccolo villaggio minerario ci accoglie con il suo Pan di Zucchero, chiamato così dal 700, quando qualcuno lo paragonò a quello brasiliano.

Prima la gente lo chiamava Concali su terraini, un blocco di calcare ceroide bianchissimo, alto 134 metri, staccatosi milioni fa dalla terra. Arrivati al villaggio, si vedono le case dei minatori, situate su livelli diversi rispetto al pendio di Punta Cortis, sul quale sono costruite. L’area, collocata tra il golfo del Leone e la cala di Bugerru, è una delle più suggestive del sud della Sardegna.

Le antiche costruzioni industriali diventano parte del panorama naturale che Masua ci offre.

Un territorio, quello di Masua, antichissimo: geologi e paleontologi vengono qui a studiare la rarissima “Puddinga Ordoviciana”, fossili del periodo cambrico databili a 550 milioni di anni fa. Ormai il villaggio di Masua, con la chiusura della miniera è spopolato, solo una decina di famiglie vivono qui tutto l’anno. Il passato minerario di questa zona è antichissimo, l’attività estrattiva risale al periodo pisano, nella roccia calcarea, si possono ben vedere scavi, gallerie, e fornelli per la ricerca di piombo e argento. Ma fu quando, nel 1859, la concessione passò alla Società Anonima delle Miniere di Monsanto, che iniziò la sfruttamento di 398 ettari di terreno con giacimenti di piombo e zinco. Venne costruita una fonderia, un impianto metallurgico per trattare la calamina, mentre la galena veniva inviata a Carloforte, con bilancelle a vela latina. Ci volevano in media 8 ore di trasporto e 14 ore era il tempo per le operazioni di carico e scarico. Per risolvere il problema del tempo e dei costi che si dovevano sostenere l’ingegner Vecelli costruì un sistema unico al mondo: 2 gallerie nella montagna di fronte il Pan di Zucchero, comunicanti tra loro, in quella di sopra arrivava il minerale sui vagoni, tramite i silos, veniva scarcato in quella sotto e da qui un nastro trasportatore e un braccio mobile lo caricava nelle navi che attraccavano a fianco la costa. Inaugurato nel 1924 il sistema di Porto Flavia (dal nome della figlia dell’ingegnere), segnò la fine di un epoca. Nonostante le tecnologie e il passaggio a società diverse le vene si esaurirono e l’attività mineraria entrò in crisi fino allo trasferimento di tutte le attività a Campo Pisano(Iglesias).

Nuxis

Il toponimo Nuxis, deriva dal fatto che il territorio è ricco di alberi di noce. Il nome attuale è frutto della dominazione aragonese, intorno al 1300; prima di questo periodo (1000 d.C), il paese era chiamato Nugis o Nughes.

Questo paese di circa 2000 abitanti, nella provincia di Carbonia-Iglesias è abitato da tempi remotissimi. Il suo patrimonio archeologico è ricco di testimonianze,che collocano la presenza dell’uomo in questo territorio dalla preistoria. Sicuramente, la testimonianza più importante è il pozzo sacro in località Tattinu, molto ben conservato. Sono presenti nelle campagne della zona anche i resti di nuraghi e alcune Domus de Janas.

Del periodo bizantino, resta la chiesa campestre di Sant’Elia, di impianto cruciforme e con la classica cupola a guscio d’uovo. Sulla cultura del paese, durante l’alto medioevo, ebbe una grossa influenza l’opera dei benedettini, che diedero un grosso aiuto alla società agropastorale. A causa della cacciata dei pisani da Cagliari e l’abbandono della zona da parte degli aragonesi, Nuxis restò spopolato, perché privo di protezione dalle scorrerie piratesche. Quando il regno di Aragona e Castiglia si unirono, Nuxis divenne un feudo di Giacomo Arragal fino al 1492 quando passò al visconte Gessa di Iglesias. In questo periodo e fino al ‘700 gli abitanti, oltre a far fronte ai continui attacchi delle popolazioni nord africane, dovevano sostenere le ingenti pretese dei feudatari. Agli inizi del ‘700, con l’arrivo del vicerè, si ebbe un leggero incremento demografico delle campagne. Il ripopolamento continuò e nel XVIII, il paese divenne uno dei più importanti del Sulcis. Con l’abolizione dei feudi e il riscatto da parte delle comunità locali, il paese passò sotto il comune di Santadi. Nel 1957, Nuxis divenne a sua volta un comune.

Il paese è situato alle pendici del Monte Nieddu, da queste parti, la campagna è ricca di piante officinali e funghi selvatici. I picchi carsici, sono ricchi di sorgenti, alimentate dall’acqua che si raccoglie nelle cavità interne. Il territorio comunale è collocato, nel Parco regionale del Sulcis ed è limitrofo ai comuni di Santadi, Villaperuccio e Piscinas. Con questi comuni, Nuxis è collegato da numerosi sentieri di campagna, che possono essere l’occasione per fare lunghe passeggiate tra la natura, una natura che è sopravvissuta alla mano dell’uomo. Vicino al paese, sono presenti due miniere abbandonate. Nel paese, all’interno di una vecchia casa tipica, è stato allestito il museo etnografico, dove sono esposti gli strumenti degli antichi lavori e della tradizione; quest’ultima viene mantenuta viva dagli abitanti del paese, tra cui ve ne sono alcuni, che ancora intrecciano cestini, fanno coltelli e persino strumenti musicali.

Santadi

Santadi è un paese nel cuore del basso Sulcis, in provincia di Carbonia Iglesias. I circa 4000 abitanti abitano un territorio pianeggiante diviso in due dal Rio Mannu, formando così due nuclei abitativi, Santadi de Basciu e Santadi e’ Susu. I numerosissimi reperti archeologici ci danno la certezza che il paese era già abitato in epoca nuragica.

Nel suo territorio si trovano infatti, nuraghi, Domus de janas e tombe dei giganti. Di notevole interesse l’insediamento fenicio-punico di Panil Loriga a pochi chilometri dal paese, del VII sec A.c. Il nome in epoca medioevale era Sant’agata o Sant’ada de Sulcis per poi prendere l’attuale toponimo, l’abitato, però, fu dopo un certo periodo abbandonato per poi rifiorire nel ‘700 come centro agricolo. Tutt’oggi Santadi basa la propria economia sull’agricoltura.

La tradizione vinicola ne ha fatto una delle zone più importanti per la produzione di vini rinomati in tutto il mondo, il più famoso dei quali è sicuramente il Carignano del Sulcis. Anche l’olio è tra le principali risorse dell’economia locale, ma non manca la tradizione casearia, con la produzione di buonissimi formaggi. Santadi merita una visita sia per il suo verdissimo territorio, ricco di bellezze naturali come il bosco Pantaleo e cavità carsiche e grotte come Is Zuddas, per le zone archeologiche, ma anche per il suo piccolo centro storico, dove si trova il Museo Archeologico e il museo etnografico Sa domu antica, riproduzione dell’antica casa sulcitana. Ad agosto si svolge il matrimonio Mauritano, cerimonia improntata sulle tradizioni locali.

Sant’Antioco

Sant’Antioco, è il comune principale dell’omonima isola, che si trova nella Sardegna sud occidentale, nella regione del Sulcis-Iglesiente. Sant’Antioco fu abitata fin dal neolitico; le prime tracce dell’uomo sono due menhir che si trovano sull’istmo che collega l’isola alla Sardegna. Sempre di epoca neolitica sono alcune Domus de Janas e un nuraghe che fu poi inglobato in un edificio fenicio-punico i cui resti, in parte sono visibili nel forte sabaudo.

Intorno all’VIII sec.a.C. alcuni navigatori fenici fondarono il primo nucleo di Sulki (l’attuale S.Antioco): secondo gli studiosi la più antica città fenicia della Sardegna (la cui fondazione è poco distante da quella della stessa Cartagine). Gli scavi archeologici nell’abitato hanno portato alla luce numerosi reperti che ben raccontano la vita quotidiana di Sulki. Nel 238 a. C (dopo circa 650 anni di dominio cartaginese), tutta la Sardegna e quindi Sulki, a causa della prima guerra Punica, fu ceduta ai romani. Ancora oggi in località “Su Narboni” si può notare dove sorgeva l’antica città romana, prestando attenzione agli assi viari. Dopo la conquista bizantina il centro fu ulteriormente rafforzato con un castrum, ma dall’VII sec. con le incursioni degli arabi cominciò a spopolarsi (nel frattempo il territorio divenne proprietà del vescovo di Iglesias) e le cose andarono sempre peggio fino al XVI sec. quando Filippo II fece costruire le prime torri costiere.

Il paese pian piano si ripopolò; nel 1758 l’intera isola fu ceduta agli ordini di Santo Maurizio e Lazzaro, ma non mancarono i contrasti per i diritti feudali del territorio, che sostanzialmente restò in mano dei due ordini fino al 1838 (anno di riscatto del feudo).

Da vedere

Sono numerosissime le bellezze da visitare a Sant’Antioco e nel territorio circostante. Nella cittadina non può non essere visitato il museo archeologico Ferruccio Barreca (dove sono esposti i numerosissimi reperti del periodo neolitico, nuragico, fenicio-punico e romano) il museo etnografico e il monte granatico.

Nella basilica paleocristiana minore di Sant’Antioco Martire, si trovano le uniche catacombe della Sardegna. Fuori dall’abitato, gli appassionati di archeologia avranno un’ampia scelta, sia di siti che di periodi storici: tra gli altri, meritano una visita le Domus de Janas di Pruinis, il villaggio nuragico di Grutt’i Acqua, la tomba dei giganti di Su Niu e Su Crobu. Di età punica non devono essere assolutamente tralasciati la necropoli e il tophet. Di età romana sono il ponte, l’acquedotto e l’anfiteatro. Molto più recenti sono il forte Sabaudo “Su Pisu” e la torre costiera “Canai”.

Sant’Aantioco però è anche uno splendido mare e incantevoli spiagge. Tra cale, litorali e coste, sarebbero numerosissime da elencare (sono una cinquantina quelle più conosciute). Meritano una menzione: Maladroxia, già luogo termale dei romani, è la più vicina alla cittadina; molto belle anche Cala Sapone, Cala della Signora e Coquaddus (da qui si possono ammirare gli isolotti del Toro, della Vacca e de Vitello). S’ega de is Tirias (da cui si vede Capo Sperone) è una spiaggia poco affollata, mentre Portixeddu Cuau è una piccola cala nascosta. Andando verso Calasetta troviamo la Spiaggia Grande (la più estesa dell’isola), quella delle Saline (con la sabbia bianchissima) .